La Mattanza del Maiale in Ciociaria
Il Rito Antico della Mattanza
del Maiale in Ciociaria
In Ciociaria, l’uccisione del maiale era un momento di festa e di sopravvivenza. Si allevava "lu puòrch" per mesi, con cura e sacrificio, per poi dedicargli una giornata solenne: la mattanza o "dmani scannamo lu puòrch".
Nulla veniva sprecato. Non a caso si dice ancora oggi: "Del maiale non si butta niente."
La tradizione era particolarmente viva nei paesi della Ciociaria dove ogni famiglia conservava gelosamente le proprie usanze. Non si poteva scegliere un giorno a caso.
Gli anziani dicevano: "La gliuna è bona?"
Il maiale veniva "Scannato" solo se la luna era propizia. La regola era rispettare la luna calante: si credeva che così il sangue defluisse meglio e la carne si conservasse più asciutta e duratura.
Uccidere con la luna crescente era considerato un grave errore: si temeva che la carne facesse acqua, si gonfiasse e non stagionasse bene. Se la luna non era buona, si rimandava, anche a costo di disdire parenti e norcini già pronti. Una saggezza contadina, tramandata da secoli, che oggi sembra quasi una magia.
All’alba della giornata stabilita, tutto era pronto. Gli uomini preparavano "lu trepiete" (il trespolo) e "lu pignato" (grande pentola in rame) e "gl' vacile" (Tinozza in latta) per scottare la pelle. Si affilavano "gli curtielle" (i coltelli), si sistemavano gl vacile per raccogliere il sangue.
La scena era semplice e potente: la famiglia, i vicini, "lu porcaro"(il norcino esperto) pronti a onorare un rito che aveva qualcosa di sacro, era fatto in maniera armonico con i cicli naturali. Anche se la scena era cruenta rientrava nella semplice catena alimentare. Il maiale veniva disteso e immobilizzato.
Un colpo secco e deciso alla gola e il sangue iniziava a fluire copioso, raccolto in una bacinella e mescolato energicamente con le mani o con un mestolo di legno.
Era fondamentale evitare che coagulasse: serviva per preparare i sanguinacci e altre pietanze.
Durante questa fase, era vietato alle donne incinte o "in quei giorni" di avvicinarsi: si temeva che il sangue si corrompesse o che il prodotto finale "venisse male".
Dopo il dissanguamento, il maiale veniva scottato versandogli sopra acqua bollente per raschiare via le setole.
Poi veniva appeso e squartato:
- "Spalle" (per le salsicce)
- "Cosce" (per i prosciutti)
- "Lombata", "costate", "pancetta".
Nel dialetto ciociaro, molte parti avevano nomi propri:
- "sògna": Sugna, grasso lavorato.
- "gli vudèll":Budella, intestini.
- "la ciocca dellu puòrch": Testa del maiale.
Subito dopo la sezionatura, si passava alla parte più urgente: cucinare le interiora fresche. Cuore, fegato, polmoni, milza, reni, intestini venivano puliti velocemente e cotti all’istante. Era un modo anche per analizzare se il maiale era "sincero" cioè non aveva malattie.
Si preparava la famosa "corata": un soffritto ricco, con cipolle, alloro, vino rosso e peperoncino e naturalmente le interiora. Tutto saltato nella "sartascìgghia" (padella di ferro). Il profumo era irresistibile. Era il primo assaggio della giornata, il premio per tutti coloro che avevano partecipato al duro lavoro.
Il resto del maiale veniva destinato a creare i tesori della dispensa: i salumi freschi e stagionati con la nobile arte della trasformazione.
- "Zarzicchie": Salsicce fresche o stagionate.
- "Prosutto": Il Prosciutti salati e stagionati.
- "Ventresca": Pancette e capocolli .
- "Coppa": Coppa di testa.
Persino il grasso sciolto, l’sògna veniva conservato in orci di terracotta e usato tutto l’anno.
Le salsicce venivano spesso insaporite con semi di finocchio e aglio rosso di Castelliri, venivano stagionate e poi messe sotto olio per essere conservate per un anno intero.
Il lavoro volge alla fine ed ormai è calata la notte, siamo in inverno e qui la giornata finisce presto, non resta che un veloce spuntino, un buon bicchiere di vino e si torna a casa con la soddisfazione di aver fatto come le formichine in estate: essersi procurato il cibo per il prossimo inverno.
Proverbi e credenze
Non mancavano i detti popolari che scandivano il rito:
- "De lu puorck 'ns ietta gniente". (Del maiale non si butta niente).
- "Chi nun ammazza lu puòrck a Sant'Antuono, d'estate magna radicchio." (Chi non fa provviste, patirà la fame).
- "Se la milza è grossa, l'inverno dura". (Dalla milza si prediceva il tempo).
- "Le megl' mele lu puorck". (Il meglio a chi non se lo merita).
E ancora, c’era l’usanza scherzosa di tingersi il viso col sangue e rincorrere i bambini, urlando: "So’ lu diavolo di Sant’Antuono!".
Le differenze tra i paesi
Ogni paese aveva la sua sfumatura:
Sora e Isola del Liri: uso abbondante di aglio e coriandolo nelle salsicce.
Arpino: grande maestria nella conservazione sotto sugna.
Atina: riscoperta del maiale nero e preparazione della noglia, l’insaccato di interiora tipico.
I dialetti cambiavano appena, ma bastava ascoltare: chi diceva "lu puòrck" veniva da Veroli, "glie puòrch" da Sora, "i porck" da Isola del Liri/Castelliri chi diceva " 'u puòrch" magari da Arpino o Atina .......
La mattanza del maiale non era solo una pratica alimentare: era un rito comunitario, una scuola di vita, un inno al rispetto per ciò che si aveva.
La tradizione ciociara insegna ancora oggi, con la sua semplicità potente, che nulla è superfluo, e che persino la luna – "la gliuna" – aveva il suo posto nel ciclo della vita.
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